I recenti attentati terroristici che hanno colpito Parigi, le immagini di panico e spari passate in televisione, giornali e internet hanno scosso e segnato profondamente gli animi di tutti e la paura di attentati terroristici sembra dilagare, generando falsi allarmi, fobie e diffidenze.
Gli attentati dell’Isis, gruppo radicale islamico che si definisce Stato Islamico, e più in generale i danni causati da azioni terroristiche sono di tue tipi: distruzione di vite e del senso di sicurezza.\r\nL’obiettivo degli attentati dell’IS e della sua propaganda è proprio creare ansia, paura e un clima di incertezza. Per l’essere umano il bisogno di sicurezza è talmente importante da essere considerato secondo solo ai bisogni fisiologici quali la fame e la sete (Maslow, 1954) e quando questo bisogno viene a mancare, non ci sentiamo protetti e al sicuro, e a risentirne è la nostra qualità della vita.
Per affrontare questa situazione può essere utile comprendere alcuni meccanismi che influenzano la nostra percezione degli eventi, restituendoci una realtà che non sempre è corretta.
Un primo passo fondamentale è l’accettazione delle proprie sensazioni: la paura e l’ansia non sono piacevoli tuttavia vanno riconosciute, esplorate ed accettate. Inoltre alcuni dei nostri pensieri sono affetti da distorsioni cognitive che portano a sovrastimare il pericolo reale, ciò significa che concretamente lo stato emotivo di ansia e paura che sentiamo viene utilizzato per confermare la percezione del pericolo e ciò può portare a limitare il proprio ambiente e le azioni entro un raggio ristretto nel quale sentiamo di essere al sicuro e di avere il controllo. Saranno il tempo e l’esperienza quotidiana del contatto con l’esterno a ridare fiducia nella possibilità di riprendere le proprie abitudini senza limitazioni che, a lungo andare, possono diventare dannose (basti pensare alla città di Parigi e ai suoi cittadini che progressivamente e con coraggio tentano di tornare alla normalità).
Il discorso psicologico sulla paura passa inoltre attraverso la conoscenza dei fatti perché senza di essa la paura può trasformarsi in terrore. Nel processo di conoscenza il ruolo dei mass media è fondamentale; il fatto che solo gli attentati messi in atto fanno notizia non permette di percepire il lavoro che viene svolto dalle forze dell’ordine e dai servizi di intelligence di molti paesi per ridurre il numero di attacchi e questo porta a credere che non possano essere controllati. La comprensione di questo meccanismo, pensare quindi che si stia lavorando per fronteggiare queste eventuali situazioni di crisi, può aiutarci a tenere sotto controllo ansia e paura. Se per esempio pensiamo all’Expo è vero che non è successo niente, ma questo non significa che non sia stato fatto nulla per impedire che accadessero fatti spiacevoli.
Un altro aspetto è che in un clima di tensione come quello attuale è comune che si diffondano diffidenza e pregiudizi nei confronti delle popolazioni arabe e musulmane, specialmente residenti nel nostro paese. I comportamenti per combattere questo tipo di situazioni anche in questi casi sono l’informazione e la conoscenza: capire e distinguere chi è un musulmano e quali sono i valori in cui crede, da chi è un terrorista senza creare “etichette”.
Come spiegare il terrorismo ai bambini?
Uno dei quesiti che comprensibilmente ha allarmato i genitori in seguito agli avvenimenti di Parigi è come spiegare e affrontare questi fatti ai propri figli. E’ del resto nella natura di ciascun genitore l’istinto di proteggere i propri figli. Non solo, l’istinto diventa ancora più forte quando il pericolo è più concreto e visibile. Come prima regola ciascun genitore dovrebbe imparare a gestire le emozioni che scaturiscono dall’ascolto di queste notizie e dalla visione delle immagini trasmesse alla tv e pubblicate sui giornali.
Se infatti i genitori riescono ad accogliere e riconoscere queste sensazioni i figli avranno più probabilità di riuscirci. Non dimentichiamoci che i genitori sono, soprattutto per i bimbi più piccoli, i punti di riferimento principali per i figli. Se il genitore trasmette sicurezza e speranza, è dunque più facile che i figli ritrovino fiducia verso il presente e il futuro.
Un’altra raccomandazione importante è affrontare il discorso con i propri figli utilizzando un approccio che si differenzia a seconda dell’età.
Prima dei sei anni si può evitare di esporli a notizie di questo genere perché possono confondere i fatti con le paure; se entrano in contatto con la notizia è bene ascoltarli, farli parlare, tranquillizzarli, anche facendogli sentire la nostra presenza fisica, ma senza approfondire l’argomento
Fra i sei e gli undici anni bisogna spiegare con parole semplici. Secondo Harold Koplewicz, presidente del Child Mind Institute, a questa età conoscere i fatti può aiutare ad alleviare l’ansia; è bene però evitare l’eccesso di dettagli, rassicurando e facendo capire ai bambini che sono al sicuro
I bambini più grandi, fra i dieci e i quattordici anni, entrano in contatto con maggiori informazioni e bisogna dargli delle spiegazioni. In questi casi è importante anche capire cosa hanno saputo, come si sentono ed incoraggiarli ad esprimere le loro paure. Mentre gli adolescenti fra i quattordici e i diciotto anni, che ricevono informazioni anche attraverso i social network, vanno aiutati a distinguere i fatti veri da quelli che non lo sono e parlargli dell’uso della violenza e dei suoi effetti (a loro non basterà una semplice rassicurazione).
In Francia già all’indomani della strage il giornalino per bambini Astrapi ha pubblicato un’edizione speciale di due pagine per spiegare, ai lettori dai sette anni, cosa fosse accaduto, e così hanno fatto altri quotidiani francesi tra cui Liberation, che hanno pubblicato edizioni speciali pensate per spiegare con parole semplici e rispondere alle domande dei bambini.
Mentre in Italia il Garante per l’Infanzia Vincenzo Spadafora ha subito raccomandato: “bene”