La paura: sicuramente un’emozione spiacevole per chi la prova… ma può anche essere utile! Vediamo insieme perché e quando diventa patologica

La paura è una delle emozioni primarie, cioè quelle emozioni che sono presenti nel bambino sin dalla nascita, come gioia, sorpresa, tristezza e rabbia. E’ comune sia alla specie umana, sia a molte pecie animali ed è un sentimento legato quasi sempre ad un istinto di sopravvivenza, una sorta di campanello di allarme sgradevole proprio perché non deve essere assolutamente ignorato.
Può ovviamente manifestarsi in diversi modi e a diversi livelli d’intensità emotiva passando da gradi più lievi come il timore, l’apprensione, la preoccupazione o l’inquietudine, sino ad arrivare all’ansia, il terrore, la fobia o il panico. La paura nello specifico si attiva quando i sensi percepiscono uno stimolo dannoso o potenzialmente tale per l’organismo, insomma quando incombe una minaccia. Alla paura segue uno stato di attivazione neurofisiologica che consente all’individuo di rispondere allo stimolo iniziale attraverso attacco, evitamento-fuga o nella peggiore delle ipotesi con un blocco.
Una distinzione importante che dobbiamo fare subito è che esistono paure innate e paure apprese. Le paure innate originano da stimoli fisici molto intensi come il dolore oppure il rumore; oggetti, eventi o persone sconosciuti dai quali l’individuo non sa cosa aspettarsi e neppure come eventualmente affrontare; situazioni di pericolo per la sopravvivenza dell’individuo o per l’intera specie: l’altezza, il buio, il freddo, l’abbandono da parte della figura di attaccamento. Le paure apprese invece sono quelle che non sono a diretto contatto con la sopravvivenza dell’individuo o della specie e la cui natura è variegata e indefinibile. Dai risultati di molte ricerche empiriche si giunge alla conclusione che potenzialmente qualsiasi oggetto, persona o evento può essere vissuto come pericoloso e quindi indurre una emozione di paura.

La faccia delle paura si manifesta in un modo molto caratteristico: occhi sbarrati, bocca semi aperta, sopracciglia ravvicinate, fronte aggrottata. Questo stato di tensione dei muscoli del viso rappresenta l’espressione della paura che è ben riconoscibile anche in età precoce e nelle diverse culture. Ma è soprattutto il corpo che reagisce nella maniera più intensa: i peli si rizzano, ai muscoli affluisce maggior sangue e la tensione muscolare ed il battito cardiaco aumentano; il corpo è così pronto all’azione finalizzata all’attacco oppure alla fuga. La paura ha dunque una funzione individuale di sopravvivenza, ma anche sociale; infatti si è visto come in tutte le specie studiate l’espressione della paura svolge la funzione di avvertire gli altri membri del gruppo circa l presenza di un pericolo e quindi di richiedere un aiuto e soccorso. Dunque le modificazioni psicofisiologiche tendono verso la conservazione e la sopravvivenza dell’individuo e della specie.
Come abbiamo visto fino ad ora, sicuramente la paura ha una funzione positiva.
Quando allora la paura diventa patologica?
I problemi nascono nel momento in cui non riusciamo a spegnere le nostre reazioni corporee e mentali di fronte a una minaccia che non è più presente né imminente, così che la risposta allo stress, da adattiva, si trasforma in cronica o eccessiva. Infatti se la paura viene estremizzata e resa eccessivamente intensa, può trasformarsi in ansia, fobia o panico, e perdere così la sua funzione fondamentale, convertendosi in sintomo psicopatologico. Quindi le cure contro la paura si rivolgono solo a quei casi in cui essa rappresenta uno stato patologico, come ad esempio attacchi di panico o di ansia di fronte ad uno stimolo assolutamente non pericoloso. Quei casi in cui la paura si trasforma in un disagio esagerato, quando irrompe nell’individuo in maniera eccessiva, bloccando la sua capacità di agire, di pensare e di svolgere le normali attività quotidiane. La paura si trasforma così in angoscia, panico e terrore che ormano una gabbia terribile, che opprime la persona e le impedisce di vivere serenamente.
A livello psicologico la persona tende a focalizzarsi esclusivamente su ciò che teme, percependos in trappola e senza via d’uscita. Si sviluppa, col tempo, una sorta di pensiero negativo verso se stessi e il mondo circostante, che diventa una costante forma di minaccia.
In questi casi spesso la risposta più comune è l’evitamento delle situazioni che ci fanno paur degli oggetti percepiti come minacciosi. Tuttavia, il sollievo che si ricava è solo temporaneo e incrementa il senso di sfiducia personale, e l’evento tanto temuto appare sempre più impossibile da fronteggiare.
E’ proprio l’evitamento che innesca un circolo vizioso che non permette di uscire dalla paura. Continuare ad evitare non fa altro che preparare il terreno per gli evitamenti successivi, rendendoci schiavi della paura che viene così sempre più alimentata da questo meccanismo
Di grande aiuto può essere in questi casi rivolgersi ad un esperto ed iniziare con lui un percorso di psicoterapia per capire insieme le origini di tali ansie, in modo da esserne consapevoli, comprendere cosa vogliono dirci, accettarle e superarle
Potremo così rompere la gabbia che ci opprime e riottenere la nostra libertà!